Il fallimento del modello contrattuale

Il modello contrattuale delineato dal legislatore nel lontano 1992 e che ha trovato prima applicazione nel decreto legislativo n. 29/1993 e una successiva rielaborazione nel decreto legislativo n. 165/2001 sta patendo una profonda crisi e  certamente non per colpa dei dipendenti che l’hanno subita, ma per coloro che dovevano migliorare l’azione della pubblica amministrazione utilizzando le regole ed i metodi di diritto comune (salvo qualche circoscritta eccezione).



Roma, 20.01.2016

Il modello contrattuale delineato dal legislatore nel lontano 1992 e che ha trovato prima applicazione nel decreto legislativo n. 29/1993 e una successiva rielaborazione nel decreto legislativo n. 165/2001 sta patendo una profonda crisi e certamente non per colpa dei dipendenti che l’hanno subita, ma per coloro che dovevano migliorare l’azione della pubblica amministrazione utilizzando le regole ed i metodi di diritto comune (salvo qualche circoscritta eccezione).

Questo ceto fatto di dirigenti e di politici ha dato prova di evidente inadeguatezza.
A Roma, ma non solo, risultano disattesi i criteri di attribuzione del salario l’accessorio postulati dal d. lgs. n. 150/2009, meglio noto come “Decreto Brunetta”e sono state introdotte, non per colpa dei lavoratori, prassi contra legem che si vorrebbero innovare dall’oggi al domani a spese solo dei lavoratori.
La contrattazione di livello nazionale è ferma da anni. Sulla correttezza di tale metodologia si è pronunciata la Corte Costituzionale ed è inutile ripetersi.
Preme comunque rilevare che la mancanza di stanziamenti di spesa per il rinnovo dei contratti sotto il profilo economico non impediva di porre mano agli istituti normativi. Invece, anche con riferimento a questi siano fermi al decennio scorso.
La contrattazione di livello confederale non ha fatto un passo in avanti nonostante l’evocato d. lgs. del 2009 prevedesse la riduzione dei comparti.
Non occorrono ulteriori esempi per comprovare l’incapacità della classe politica e del ceto dirigente a gestire la dinamica contrattuale e le risorse umane.
Incapacità che si vorrebbe fronteggiare con l’ennesima riforma, con l’ennesimo testo unico che consentiranno di licenziare i fannulloni in due giorni, un arco di tempo incompatibile con la serietà e la completezza di qualsivoglia tipo di procedimento.
Come rilevato dal Segretario Confederale prof. Nigi, si affronta la questione in modo strumentale e demagogico.
Ma è mai possibile che i fenomeni di assenteismo diffuso e insistito dei dipendenti museali a Roma o di quelli comunali a San Remo o di molteplici altri enti in tempi meno recenti siano sfuggiti ai dirigenti preposti ?
Ma se è vero che uno dei punti qualificanti la privatizzazione dell’impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione era la valorizzazione del ruolo dei dirigenti ed il trasferimento a questi della responsabilità esclusiva in materia di risorse umane, perché sulle responsabilità dei dirigenti nemmeno una parola ?
Chi ha impedito ai dirigenti di effettuare controlli, anche random, sulle presenze in servizio o sulla legittimità dell’allontanamento di taluni dipendenti dalla sede di servizio ?
Quanti procedimenti sono stati aperti nei confronti di costoro ?
Difficile dare una risposta perché non se ne è proprio parlato.
Certo per un Sindaco o un Ministro non sono toccati dal licenziamento di un dipendente dei livelli contrattuali non dirigenziali; ma il licenziamento di un dirigente può risultare più problematico.
Ma non per questo si possono fare le riforme solo a carico dei soli noti, né si può immaginare di risolvere la questione a colpi di luoghi comuni e di annunci improbabili.
Chi ci governa deve suo malgrado prendere atto che alle favole, soprattutto a quelle che il cattivo è quello che ha di meno, non ci crede più nessuno.
I fannulloni che stanno affondando il paese non vanno ricercati tra quelli che, pur riprovevolmente, nell’orario di servizio vanno a fare canottaggio o lavorano nella frutteria del coniuge.
Le responsabilità vere vanno ricercate più in alto.
Bisogna alzare lo sguardo, se non altro per dignità.

Il Segretario Generale
Co-coordinatore Diccap
Domenico Maria De Grandis

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